Un odore acre di legno arso
risaliva dal vecchio comignolo in pietra. Il fumo grigiastro e suadente si
disperdeva nell'aria confondendosi con la bruma, in un silenzioso peregrinare
nel vuoto; la nebbia avvolgeva gli esili tronchi del frutteto ormai spoglio,
sfumandone i contorni tanto da farli sembrare fragili spettri dalle braccia
raggrinzite: si udiva solo il gracchiare di un grosso corvo, che interrompeva un’atmosfera
pensosa e surreale, volando inquieto da un ramo all'altro come in preda ad
un’intima confusione.
Coline si sentì per un attimo
parte di quel nulla, persa nelle nuvole grigie e nella bellezza quasi antica di
una dozzina di zucche accatastate là fuori, su una scura panca di legno: le
osservava affascinata, malinconica; accarezzava i loro contorni gialli e
verdastri con lo sguardo, percependone i muti pensieri. La solitudine che
sussurravano era la stessa che lei portava dentro. Il profumo pungente delle
castagne arrostite, che stavano bollendo da un po’ insieme ad un pezzo di carne
in un largo paiolo in pietra ollare, aveva ormai pervaso completamente la
stanza: la pentola borbottò più volte, richiamando l’attenzione della giovane
che sembrava averla dimenticata sulla brace. Quando se ne accorse, la ragazza
corse dinanzi al fuoco e mescolò energicamente gli ingredienti con l’aiuto di
un grezzo cucchiaio; rabboccò con un poco di vino rosso, purpureo come le
foglie cadute che adornavano il sentiero della sua umile dimora. Chiuse gli
occhi e ne respirò profondamente l’aroma, che la riportò agli autunni che
viveva nella sua infanzia. Infine sospirò, sedendosi accanto al camino, dove in
un ampio catino di noce il suo gattino stava riposando.
Coline sorrise amabilmente,
accarezzando la sua morbida testolina.
<Menomale che ci sei tu a riempire d’amore la mia solitudine> gli
disse, tirandogli leggermente l’orecchio <Sei proprio un buon amico, come non ne ho mai trovati>.
Il micetto sbadigliò, ricambiando
le attenzioni della sua padroncina con innumerevoli fusa. Si mise a sedere e la
guardò, con gli occhi socchiusi, percependo un velo di tristezza nel suo cuore.
<Insomma, cosa non va in me?> soggiunse la ragazza sbuffando,
raccogliendolo dalla cesta e appoggiandolo sulle ginocchia <Ho sempre dato tutto ciò che potevo dare;
fatto tutto ciò che potevo fare. E sono rimasta comunque sola, prima o poi
dimenticata>.
Passò qualche istante e gli occhi
di luna del gatto incontrarono il suo viso.
<Non hai nulla che non va, piccina> le sussurrò dolcemente il
minuscolo felino, osservando il suo sguardo farsi lucido di lacrime <E’ che l’amicizia è un dono molto difficile da trovare. Il più delle
persone la scambia per ciò che non è, senza chiedersi cosa effettivamente
dovrebbe essere; il più della gente la ritiene un bene passeggero, mutevole
come le stagioni. Lascia che te lo dica: sei certamente amico quando tendi la
mano, quando ne stringi una tra le tue; quando abbracci e puoi sentire il cuore
di chi ami palpitare accanto al tuo. Sei amico quando sei sincero, quando metti
i tuoi occhi in altri occhi e condividi con essi le ore del giorno o della
notte. Ma l'amicizia non è solo occuparsi di qualcuno che abbiamo modo tutti i
giorni di vedere: l’amicizia non vive nell'ovvietà. Saremmo tutti in grado di
godere del sole quando non manca mai, quando splende nel cielo e inevitabilmente
accarezza anche il nostro viso. Siamo tutti in grado di vivere nell'abbondanza quando non proviamo nemmeno un giorno a metterci alla prova> sentenziò
saggio il gatto, godendo delle carezze sul lucido pelo screziato. Infine
continuò: <Se mi consenti, perciò,
l’apparenza e la vicinanza non sono sempre sinonimi di sentimento vero. Vale più
quello che fai per un amico lontano dai suoi occhi, più che quello che fai
vicino ad essi: tutti i pensieri che gli doni, tutti i sorrisi che gli dedichi,
quando non è accanto a te ma è come se lo fosse realmente; tutti i più bei
suoni che conservi quando non senti la sua voce ma ti pare ugualmente di
percepirla, nello spartito dei ricordi. Vale più la lealtà che gli regali,
fosse solo nell'onestà dei gesti, lontano da ciò che lui può udire: vicino a
ciò che il resto del mondo ode. E in quel discorso ricami bellezza e affetto
perché il vento glie la porti; perché tu possa renderlo grande anche dinanzi a
chi non lo conosce, perché è davvero nobile solo quello che non si mostra agli
interessati ma risplende per essi come se in quell'istante fossero
personalmente presenti. Ricorda. Sai che è amicizia se nei momenti di assenza due amici sono comunque insieme, e ne hanno la certezza: perché anche se distanti hanno dell'altro preoccupazione
e cura, nonostante le età, nonostante le vicissitudini della vita. Sai che è amicizia vera quando esiste, semplicemente, vicino o
lontano; nel sole o nella nebbia; nella dedizione contro il tempo che scorre:
senza che si pronunci un suono, senza che si riveda un viso. Ma non tutti sono
pronti ad amare ciò che non si può vedere; non tutti sanno riconoscere i tesori
più preziosi e li gettano al vento come semi nell'aia. Quella è illusione, non
virtù; se ti abbandona non è mai stata tua> concluse il micio, inarcando
la schiena e stiracchiandosi pigro.
Coline lo abbracciò forte,
appoggiando teneramente la guancia sul suo musetto: quel morbido contatto la
rincuorò.
<Ed è amicizia vera quando ti sento parlare anche se per tutti non hai
voce, vero?> gli sussurrò maliziosamente <Anche quando parli una lingua diversa dalla mia e nel silenzio facciamo
comunque i più grandi discorsi, non è così?>
Il felino miagolò, appagato da
quel calore tanto speciale che la sua padroncina emanava dal profondo
dell’anima. La ragazza si sentì intimamente vicina a quel selvatico cuore e capì
che non avrebbe dovuto cambiare, solo aspettare. Comprese che la solitudine non
era una maledizione, se era frutto della verità: forse aveva sofferto per
qualcosa che non era mai stato suo o forse l’amicizia vera non l’aveva mai
incontrata.
Perlomeno, pensò, fino a quel momento.
Esiste un luogo fatto di calore e di amore, anche quando il cielo è pensoso e avvolge ogni cosa tra dita di
nebbia e respiri umidi; esiste un luogo dove i gattini riposano in vecchi
catini di legno, in cui i camini scoppiettano paterni e le panchine accolgono
dozzine di zucche malinconiche e solitarie, screziate di giallo e verde
silvestre; v’è un luogo dove la quiete si perde tra i vigneti, tra grappoli succosi
e violacei, appesi qua e là su generose e nodose braccia di vite. E il silenzio
porta la voce del cuore: d’improvviso un momento riluce più di altri, un
abbraccio scalda più di un altro; un sorriso diviene il sole che nasce in un
giorno di pioggia e in un istante due cuori selvatici si incontrano per non
lasciarsi mai più.
Perché la solitudine non è mai
davvero una maledizione, perché la sofferenza non è sempre vana; perché
l’amicizia vera si può incontrare realmente, in un unico e inaspettato momento.
E’ per te, mia dolcissima Vale:
per ricordarti che ci sono, ci sarò sempre. Nella vicinanza e nella lontananza,
sia quando mi vedrai sia quando non sarò davanti ai tuoi occhi: perché stai
certa che anche allora, quando avrai bisogno, mi troverai sempre almeno davanti
agli occhi del tuo cuore.
Ti voglio tanto, tanto bene
tesorina: abbracciarti è stato meraviglioso, uno dei doni più belli che questo uggioso
autunno mi potesse portare!
Castagnaccio alle pere e anacardi
con miele d’acacia, lardo d’Arnad e salsa al Bonarda
Per il castagnaccio alle pere e anacardi
250 gr di farina di castagne
(Molino Zanone)
350 ml di acqua
2 cucchiai di olio d’oliva
1 pizzico di sale
50 gr di pere essiccate
(Noberasco)
30 gr di anacardi grossolanamente
tritati + 30 gr di anacardi interi per la copertura
Per la salsa al Bonarda
½ bicchiere di vino rosso Bonarda
3 cucchiai di zucchero
1 cucchiaio di glucosio
Per la decorazione
fettine sottili di lardo d’Arnad
q.b.
2 piccole pere Decana (non troppo
mature)
2 cucchiai d’acqua
1 cucchiaio abbondante di miele
d’acacia
Preparare il castagnaccio
versando nella planetaria la farina con un pizzico di sale, l’olio e l’acqua a
filo. Quando il composto sarà piuttosto cremoso, aggiungere le pere essiccate
tagliate a pezzetti piccoli e gli anacardi tritati. Mescolare e versare in una
teglia rotonda da 22/24 cm di diametro, opportunamente oliata. Distribuire sull'impasto i restanti anacardi interi e infornare a 180°C per ca. 30/35 minuti:
il castagnaccio sarà pronto quando si saranno formate le classiche crepe sulla
superficie. Mentre il castagnaccio raffredda, sbucciare e tagliare a fettine
sottili le due pere, metterle in un padellino antiaderente a fondo spesso e
aggiungere due cucchiai d’acqua. Cuocere fino a che le pere non si saranno
ammorbidite e l’acqua sarà quasi del tutto assorbita, poi spegnere il fuoco e
aggiungere il cucchiaio di miele: mescolare fino a che non si sarà amalgamato
bene alla frutta. Preparare infine la salsa al Bonarda: versare in un pentolino
mezzo bicchiere di vino rosso, lo zucchero e il glucosio. Cuocere fino a che la
salsa non si sarà opportunamente addensata.
Tagliare il castagnaccio a
piccole fettine e avvolgere ciascuna di esse in una fettina di lardo. Decorare
con un paio di pezzettini di pere al miele e irrorarle con la salsa al vino
tiepida o fresca.
Con questa ricetta, amica mia, partecipo al quarto contest dell'Agriturismo Ca' Versa. Ho immaginato questa salsa, che potesse fare le veci della vostra deliziosa gelatina: un po' amarognola, un po' dolciastra, corposa e piena come un buon bicchiere di Bonarda, per accompagnare questo secondo piatto dal profumo autunnale.
Ed eccoci giunti alla fine, per oggi.
Vi abbraccio con tanto affetto,
mi mancate tantissimo: ma vicine o lontane, vi porto sempre nel cuore.
E la mia
gioia risiede nel fatto che so di potervi trovare lì, in fondo all'anima
finché non tornerò qui con voi.
Una serena notte, piena di sogni
luminosi e di desideri d’amicizia vera. A presto!