Giungeva un periodo, durante
l’anno, in cui a Venezia l’inverno pareva stancarsi del suo grigio e ghiacciato
manto; un momento in cui la luce, dopo mesi di malinconia cupa e desolazione,
riusciva a far breccia nel rigido cuore della stagione e a renderla infine
gentile al cospetto di un’imminente primavera: era nuovamente Febbraio. La
nebbia mattutina si innamorava delle placide acque dei canali e dei rii,
sorridendo di un’aura dorata alle prime carezze del sole: come un vaporoso
pensiero, avvolgeva soffusamente le sagome dei gondolieri più mattinieri, che
ondeggiavano silenziosi tra il gorgoglio dei flutti mentre attendevano sulle
loro imbarcazioni. Giocosi riflessi di luce, proiettati dalle superfici
acquose, disegnavano tremanti fantasmi sulle pareti antiche delle costruzioni
antistanti: un riverbero brioso animava così vecchi palazzi rinascimentali dal
fulvo intonaco scrostato o muri dai delicati toni seppia, che mostravano qua e
là piccole nudità di mattone.
Mastro Roberto, chiuso sin dalle
prime ore del mattino nella sua bottega, ammirava estasiato quello spettacolo
silente: dalle ampie vetrate incorniciate da travi di legno intarsiate, il
chiarore dell’alba raggiungeva morbidamente le innumerevoli maschere in
cartapesta appese alle pareti e i raffinati costumi appoggiati ai manichini;
lunghe ombre si stagliavano alla base di svariati modelli in argilla, immobili
su treppiedi e sistemati su tavoli di pino massello. I pennelli parevano godere
di una placida quiete, abbandonati nei bicchieri colmi di acqua torbida, mentre
i colori nelle loro scatole sembravano giacere ancora addormentati: ogni cosa restava
come in ascolto di qualche voce nascosta nell'aria, mentre il mastro mascheriere
legava lentamente il grembiule ai fianchi e aspettava l’ispirazione ricercando
la voce delle sue Muse. Già da qualche giorno le strade si erano riempite delle
grida festose del carnevale veneziano, di persone allegre e un poco folli, che
sfoggiavano abiti e travestimenti meravigliosi, il più delle volte frutto dalla
sua mente estrosa. Tra un calco e l’altro, infatti, prendevano vita tra le sue
mani i volti più belli della commedia dell’Arte: bianchi e cerulei visi del
Bauta, scure e ovali maschere della Moretta, volti di scherzosi Arlecchini o di
pagliacci Mattaccini. E se c’era un colore che nella bottega di Mastro Roberto
non mancava mai, quello era l’arancione: l’artigiano pareva proprio incarnare
lo spirito vivace e frizzante di questo colore, che sapeva regalare energia e
freschezza ad ogni sua creazione. Niente poteva distrarlo una volta immerso nel
lavoro, e la dedizione era tanta che il maestro aveva più volte rischiato di
non pranzare, se non fosse stato per l’assidua presenza di un giovane garzone
che gli recapitava quotidianamente del buon pane fresco.
Così, anche quel martedì Roberto
sentì bussare come di consueto tre volte, prima che la porta si aprisse
scricchiolando e facesse il suo ingresso un ragazzo piuttosto trafelato, con
una grossa sacca di stoffa tra le mani.
<Gianni, buongiorno!> lo
accolse il mascheriere, sfoggiando un sorriso ampio e luminoso. Ma non fece in
tempo ad aggiungere altro che il garzone lo interruppe: <Buongiorno? Ah,
magari lo fosse! C’è così tanto fermento in giro che la gente pare
impazzita!>
Il giovane poggiò goffamente il
sacchetto sul bancone della bottega, urtando involontariamente un alto vaso
colmo di piume giallo limone e recuperandolo prontamente poco prima che finisse
per terra. Gianni sbuffò, sistemandolo ad un lato del tavolo in modo che non
fosse più d’intralcio.
<Bon, un altro guaio scongiurato>
disse infine sollevato, asciugandosi la fronte e lasciando scivolare la mano
sugli occhi con fare costernato <Ecco il vostro pane, Mastro Roberto, ma non
prendetevela con me se non è quello che siete abituato a mangiare. Oggi, anca
el fornaro xe deventà bauco!>
L’artigiano sollevò le
sopracciglia con fare stupito e si sistemò gli occhiali, guardando incuriosito
qualche sottile sfilatino che faceva capolino dal contenitore di stoffa.
<Bauco?> domandò poi
fissandolo da dietro alle lenti, che ingrandivano ancor più le sue iridi chiare
<A bèmpo. E perché il fornaio sarebbe diventato matto?>
<Perché ha fatto del pane
dolce. Dolce, capite?> rispose Gianni scandendo nitidamente con la voce le
sue ultime parole, battendo le braccia sui fianchi <Niente a che vedere con
quei bei bastoni colmi di cipolle saporite, quelle soffici focacce profumate di
patate e aromi. Gnanca par idea! No sior! Canditi, sambuco e noccioline!
Ringraziate questo assurdo carnevale, se la gente diviene all’improvviso più
sciocca e irriverente!>
Mastro Roberto lo ascoltò
divertito e, afferrando un bastoncino dolce, profumato e ancor caldo, lo
assaporò compiaciuto.
<Io non li trovo così male, il
panettiere ha avuto un’idea davvero estrosa! Sai ragazzo, non comprendo la tua
ostilità nei confronti di una festa così colorata, allegra e fuori dagli
schemi>
<Beh, se lo volete sapere è
una ricorrenza che proprio non sopporto!> sbottò indispettito il giovane
garzone, passando circospetto il dito sul profilo di uno strano viso in
cartapesta, appoggiato ad asciugare sul bordo del bancone antistante <Sono
io a non comprendere cosa ci troviate di tanto stimolante ed esaltante. Che
bisogno c’è di indossare una maschera e mentire sulla nostra identità? Quale
senso ha mostrarci per quello che non siamo e agire contro le regole del
consueto vivere?>
Il mascheriere prese a
massaggiarsi la mandibola, accarezzandosi la sottile barba incolta. Poi buttò
le mani in avanti, scuotendo il capo vistosamente.
<Suvvia, figliolo. Lasciamo da
parte l’ipocrisia. Pensi che ci si travesta solamente a carnevale?> domandò,
sospirando <La realtà è che le persone indossano continuamente ruoli sociali,
nomi di mestieri, stereotipi o giudizi che la società gli incolla addosso.
Tutti recitano una parte, tutti diventano talvolta qualcun altro, senza
necessariamente porre vistose maschere sul viso. Questa è considerata
normalità, ma dimmi: non trovi ancora più folle quando, per qualche giorno, la
follia è permessa davvero ed è considerata invece anormalità?>
Gianni scrollò le spalle,
tradendo un certo scetticismo.
<Oh dai!> continuò Mastro
Roberto, aprendo le braccia con arrendevolezza <Quanti costumi ogni giorno
indossiamo, inconsapevoli o no, per sentirci all’altezza di questo severo
mondo? Perché dovremmo biasimare chi paradossalmente li toglie tutti, una volta
l’anno, per indossarne uno capace di farlo sentire all’altezza di se stesso? Ecco
ciò che trovo curioso nel carnevale: talvolta pare che si smetta di portare una
maschera quando si arriva ad indossarla veramente! Sì, perché durante questa
festa, poiché se ne ha occasione, ogni persona osa: corre il rischio di
lasciarsi andare, sicura che nessuno potrà farla sentire sbagliata, inadeguata
o in colpa, nel mostrare quella parte di se che normalmente nasconde per decoro
o per vergogna>.
<Un gran paradosso, lo devo
ammettere> commentò il giovane garzone, corrugando le sopracciglia nel
notare la bruttezza di un lungo naso adunco che spiccava su una testa in creta,
sagomata su un treppiede <Però ve lo concedo. Forse sì: ora che mi ci fate
pensare, pare proprio che tra coriandoli e travestimenti la gente si conceda il
lusso della libertà, lontano da giudizi o pregiudizi di sorta>.
<Pregiudizi come il tuo, mio
caro ragazzo> puntualizzò Mastro Roberto con tono sarcastico e un poco pungente,
puntando verso di lui un pennello grondante di tempera chiara <Certo, un
mondo privo di maschere sarebbe auspicabile, ma temo impossibile: la vera
nudità dell’anima spaventa, rende troppo vulnerabili oggigiorno. Ma se non si
può fare a meno di un travestimento, per proteggerci o difenderci, facciamo
almeno che non serva per ingannare o nasconderci, ma per comunicare qualcosa di
bello che abbiamo dentro. Qualcosa di innocente, divertente e sincero>.
Gianni non disse più nulla ma
l’entusiasmo del mascheriere doveva averlo contagiato, dato che l’artigiano lo
vide distratto e sorridente mentre girava per la bottega studiando con
curiosità una gran quantità di costumi e travestimenti: pareva infatti che
anche il garzone avesse abbandonato tutto il suo scetticismo e fosse stato
rapito dalla voglia di colore, di allegria e di sovvertimento del quotidiano
vivere. Tuttavia quella pace dei sensi durò solo fino a che l’antico orologio
di Mastro Roberto suonò i dodici rintocchi del mezzogiorno.
<Ma che ora che xe?> disse il
ragazzo, ritornando improvvisamente alla realtà <E adesso chi lo sentirà il
fornaio? Perdonatemi, ma vi devo lasciare. Sarà meglio che ritorni al panificio
più veloce che posso, o saranno guai!>
Gianni si affrettò così verso la
porta, stringendo ancora nelle mani una buffa maschera variopinta. Fece per
tornare indietro per posarla sul bancone, ma Mastro Roberto lo fermò.
<Cosa fai? Corri, corri! E tienila, se lo desideri> ridacchiò l’uomo <Se non altro per oggi smetterai di travestirti di un ruolo che piace gli altri, per indossarne
finalmente uno che piace a te!>
Sfilatini dolci alla farina integrale
con sciroppo di sambuco, macedonia candita e arachidi salate
(senza lattosio, vegan)
200 ml di acqua
200 g di farina 00
200 g di farina Manitoba W350
50 g di farina integrale Antiqua W400 Molini Bongiovanni (grazieee, Mastro Roberto!)
75 g di macedonia candita
50 g di arachidi salate
15 g di lievito
15 ml sciroppo di sambuco
15 ml olio d’oliva
10 g di zucchero di canna
3 g di sale fino
1 cucchiaio di estratto di vaniglia
naturale
1 cucchiaino di malto d’orzo
Sciogliete nell'acqua tiepida il
lievito fresco con il cucchiaino di malto d’orzo. Ponete nella planetaria le
farine e lo zucchero. Azionate la macchina con il gancio a foglia e aggiungete
l’acqua con il lievito e il malto, poco alla volta. Quando il liquido sarà ben
inglobato, aggiungete lo sciroppo di sambuco, l’olio d’oliva e l’estratto di
vaniglia. Lasciate lavorare il robot finché l’impasto si sarà compattato.
Inserite a questo punto il gancio a spirale, unite la macedonia candita e le
arachidi salate. Dopo qualche minuto aggiungete il sale. Lasciate che l’impasto
incordi, ci vorranno circa 20 minuti. Mettetelo a raddoppiare di volume in un
luogo caldo (ca. 24°C) per circa 1 ora e mezza. Passato il tempo di attesa, stendetelo a
forma di rettangolo e ricavate da esso longitudinalmente delle striscioline
larghe ca. 1 cm. Trasferitele su una teglia coperta di carta forno e ponetele
un’altra mezz'ora a lievitare al caldo. Accendete il forno a 200°C e infornate
gli sfilatini dolci nella parte bassa del forno, abbassando la temperatura a
180°C. Lasciate cuocere fino a doratura, ossia circa 15 minuti, prima di
sfornarli.
Immancabile è infine una dedica speciale per una persona altrettanto speciale: questo racconto è tutto per te, Roberto! E' per la tua anima allegra, profonda e luminosa; è per l'arancione che irradi da dentro, per la simpatia e il sorriso che sai donare a chiunque ti incontra. E' per la gratitudine di aver incrociato il mio e il nostro cammino, con la tua unicità: un cammino che non mancherà mai di essere ricco di colore e affetto sincero da donarti. Non cambiare mai!
Buon carnevale a ciascuno di voi, sia a chi lo festeggia che a chi preferisce non festeggiarlo. La cosa che conta è che vi sentiate liberi di essere chi desiderate davvero, oggi e sempre, noncuranti dei giudizi e delle giornate cupe: colorate i vostri giorni con i toni che più amate, sicuri della loro bellezza perché diranno qualcosa di vostro solamente. Giocate, ridete, gioite e riempite con un po' di sana follia la quotidianità: oggi non solo sfilate, ma...sfilatini per tutti! Hehehehe...
Un abbraccio e a presto!